Con il termine Sibilla si indicava nell‘antichità greco-romana una donna che possedeva la capacità di prevedere il futuro. Nel dizionario dell‘Arte Medievale Treccani al termine Sibilla corrisponde la seguente definizione: "Nell‘antichità classica, fin dal periodo arcaico della Grecia particolare tipo di veggente femminile [...] che profetizza quando e dove è ispirata, anche senza essere interrogata; la sua ispirazione è concepita come possessione divina, e per tale ragione la profetessa si mantiene vergine. Le Sibille divennero esseri leggendari; mediatrici tra dio e l‘uomo, spesso concepite come figlie di divinità e di ninfe e dee esse stesse". Pertanto le Sibille erano delle profetesse che, rivolgendosi alle comunità, alle città e ai regni, preannunciavano eventi e calamità naturali, esiti di battaglie e cantavano la storia delle città. Queste profetesse venivano anche consultate in occasioni di cerimonie, durante i periodi di carestia e al diffondersi di pestilenze, così da conoscere le cause e i rimedi ai mali che affliggevano il genere umano. Il dio che ispirava le Sibille è nella maggior parte delle attestazioni, Apollo, dio della poesia, della medicina, delle arti, della musica, della luce e della profezia. Minori sono le testimonianze che vedono Zeus, Giove o Dioniso quali ispiratori delle veggenti.
Le numerose profezie diffusesi in età classica spinsero gli studiosi antichi ad interrogarsi sul numero delle Sibille esistenti. Il primo autore che affrontò questa ricerca fu il filosofo greco Eraclide Pontico che individuò tre differenti Sibille: la Sibilla Marpessa o Ellespontica, la Sibilla Delfica e la Sibilla Eritrea. Solo in età romana, con lo studio dell‘antiquario Varrone, si arrivò ad individuare dieci Sibille: la Sibilla Persica, la Libica, la Delfica, la Cimmeria, l‘Eritrea, la Samia, la Cumana, l‘Ellespontica, la Frigia e la Tiburtina. L‘antiquario ordinò le profetesse in ordine cronologico e di ognuna fornì la fonte letteraria in cui era citata.
Con l‘avvento della Religione Cristiana le Sibille non persero la loro importanza, anzi, al pari dei Profeti divennero annunciatrici della venuta di Cristo e del suo operato. Per questo motivo a partire dal Medioevo e durante tutto il Rinascimento le profetesse divennero soggetti nelle arti figurative italiane e nei testi letterari. Inizialmente le Sibille venivano rappresentate in forma singola ed accostate al ciclo dei Profeti, solo a partire dal Quattrocento vennero separate dai Profeti e costituirono un ciclo autonomo di dodici veggenti: le dieci del canone di Varrone più le due aggiunte da Filippo Barbieri nel 1481, l‘Agrippea e l‘Europea.
Nel contesto italiano l‘apice della diffusione e considerazione delle Sibille si raggiunse con le raffigurazioni della Cappella Sistina nel 1508-1512 ad opera di Michelangelo Buonarrotti. In seguito, l‘esaurirsi delle tensioni profetiche dalla metà del Cinquecento e i rigidi canoni controriformistici generarono una progressiva perdita di interesse, sia artistico che letterario, nei loro confronti. Ciò non si verificò nelle zone periferiche, dove le veggenti continuarono a rivestire un ruolo significativo sia in ambito religioso che privato. È questo il caso della Provincia di Bergamo dove a partire dal XV secolo la presenza delle Sibille è osservabile nei contesti religiosi sottostanti alla Diocesi di Bergamo, e nell‘ambito privato dell‘Oratorio Suardi di Trescore Balneario.